[®acconti inediti 2008]
Il suono della posta ricevuta era il terzo campanello prima dell'inizio dello spettacolo. Le luci già spente. Un brusio sommesso. Si apre il sipario.
Vorrei creare un libro fatto dei flyer di conferenze, vernici, letture, presentazioni. Gli inviti. Che negli anni dedicati alla "formazione di un sapere" hanno significato per me l'appartenenza ad una setta il cui simbolo segreto stava racchiuso nel tesserino universitario plastificato sui due lati, con l'orrenda foto segnaletica, la firma e i timbri complanari. Lei è membro ufficiale della sacra famiglia dei baroni. Per tre anni le offriremo il privilegio d'affollare le aule scrostate dei nostri antichi palazzi, la inviteremo ad ogni inutile manifestazione - tanto per fare numero - e per il resto del tempo, come si conviene ad ogni segretissima associazione a delinquere, la ignoreremo. Allo scoccare della mezzanotte del terzo anno lei sparirà e resterà solo una scia di pezzi di carta a ricordare - ma a chi poi? - le traiettorie culturali da lei segnate. Anche quelle comunque come il sasso nell'acqua, formeranno cerchi sempre più leggeri e in breve se ne perderà la traccia.
Lei già non esiste più. E il sipario si apre su un palcoscenico vuoto, in un teatro vuoto dove lavorano ormai solo tecnici impegnati a oliare gli ingranaggi di un macchinario inutile.
Restano le locandine accatastate nella rimessa del custode. Restano i biglietti invenduti di tutti coloro che non partecipano più allo spettacolo di altri.
I miei lettori infatti sono rarissimi. Io leggo pochissimi autori. C'è perfetta sincronia di disattenzioni. Una mancanza di curiosità mascherata dall'informazione. Ci sono troppe parole che appartengono ad un inattuale vocabolario tragico ed è così che è stata operata l'anestesia dei sentimenti. I sensi di plastica ci concedono un alleggerimento ulteriore: la permanenza in superfice. I miei biglietti del treno galleggiano su di un liquido calmo, silenzioso, anaerotico.
Ricontrollando il sipario vedo meglio: ci sono centinaia di tavoli da gioco accatastati nel buio del grande palcoscenico. Pile di gambe ribaltate alte fino al cielo. Quei tavoli non sono un decoro, la machiné di qualche commediografo, quei tavoli stanno lì perché ora il teatro è un magazzino perché non esistono più giochi condivisi, condivisibili. Ci sono solo solitari. Nessuna tomba di famiglia.
Quando si inizia un’avventura è necessario avere la convinzione di non essere assolutamente idonei al compito che si è chiamati a svolgere.
RispondiEliminaProbabilmente la tua avventura accademica ti è scivolata sulla pelle come il vento d’Agosto perché quello che hai fatto lo sapevi già fare.
Prova a rischiare veramente.
Lo studente di B