mercoledì 30 aprile 2008

HIERAKONPOLIS




Dopo mille menate accademiche che spaziano dalla Città di Pietra al Giardino di Pietra, mi sembrava opportuno citare anche l'Amica di Pietra, che fa della sua vita un continuo processo sottrattivo atto alla ri_ scoperta di antichi miracoli.




Buona Ricerca Anna

martedì 29 aprile 2008

La deriva

Le forme dell'arte sono simboli specifici nella deriva del senso. Dei sensi. Sono un mediatore potentissimo tra gli effetti della realtà - morte, dolore, malattia - e la nostra necessità di sopravvivere a tali condizini. Ma nel post-moderno o, come ho sentito spesso in questi giorni, nell'iper-moderno, alla necessità di sopravvivere si sostituisce quella, ben più complessa, del vivere infinite volte. La realtà virtuale ha prodotto questa moltiplicazione dei significati, atrofizzandone la definizione primaria e sviluppandone altre, effimere, temporanee. I simboli, anche i simboli storicamente accettati dalle società, assumono un ambivalenza intrigante e, per questo, molti pensatori credono di poterli utilizzare in modo comodo, immedato. Fatico a comprendere come un grande filosofo da sempre impegnato nel campo della metafisica possa così agilmente impossessarsi di un linguaggio specifico come quello dell'architettura. Dominare i saperi significa spesso privarsi di un certo grado di narcisismo che porta gli intellettuali, troppo spesso, a una smania di conquista di campi di riflessione complessi. La teoria che Severino espone in Tecnica e architettura ha ben poco a che vedere con ques'ultima. Direi piuttosto che è un testo interessante e didattico che vedrei bene nelle bibliografie degli esami di Storia dell'architetura nelle università italiane. Per il resto, per quanto riguarda la mia specifica ricerca, le teorie di questo filosofo sono una delle tante voci nell'arciplelago delle presunte verità. Il problema più grande, almeno dal mio punto di vista, è ricucire faticosamente questi brandelli di sapere che sembrano disfarsi come un'antica stoffa marcita nella stiva di una nave. La nave che, appunto, sta andando alla deriva.

lunedì 28 aprile 2008

Svegliatevi bambine




Et voilà, le printemps florentine!

giovedì 24 aprile 2008

I was there...



...insieme a Ron Arad, Odile Decq e co. Vernice super select (quindi com'è che sono entrata?!) per la tappa parigina di Detour presso il Printemps design center del Pompidou. Dopo la delirante performance al Louvre di Jan Fabre, la serata champagne e flash pareva necessaria. Il guanto, oltre ad essere l'invito per l'evento, serve a toccare e sfogliare, senza rovinare, le splendide Moleskine esposte. Superlativa quella di Antonio Marras anche se, come accade in questi casi, il vero display erano gli invitati! Paris, je t'aime!

mercoledì 23 aprile 2008

IL LABRONICO


martedì 22 aprile 2008

MATTEO BARONI


BARO disegnato da Matteo Baroni


www.baronievaleriani.com

SANTA CHIARA CENTER




Ieri sera gli intrepidi eUTROPI si sono misurati con la loro prima lezione, o meglio lettura, in inglese presso il Santa Chiara Center di Castefiorentino, un distaccamento del Department of Architecture Texas AM University.

Li, dove prima di loro si erano già seduti i volti ben più noti degli STALKER , degli AVATAR e dei LOT_EK, i giovani si sono decisamente difesi, proponendo una tematica assolutamente inconcepibile per degli americani: IL RAPPORTO CON LA PREESISTENZA.

Sfiniti da circa 60 minuti di domande (probabile causa, il loro inglese maccaronico) gli eUTROPI concludono la loro performance imbastendo una piccola festa a base di prodotti pugliesi, memori dell’ultimo concorso vinto.

Nemmeno a dirlo, saremo ricordati per quelli che portarono il vino (primitivo), piuttosto che per le nostre architetturine.

lunedì 21 aprile 2008

IL GIOCO

Reduce dal salone di Milano, ogni volta mi ritrovo a pensare la stessa cosa. Bisogna giocare con l'architettura. L'intellettualismo va bene, ma rende ogni cosa macchinosa. Perchè Munari e Sottsass li ricorderanno tutti e Purini un pò meno? Mi sono ritrovato a riguardare le foto di Castiglioni, Munari appunto, Gaetano Pesce, Alberto Meda, Vico Magistretti, Philippe Starck e mi sono reso conto all'improvviso di una cosa...tutti sorridevano...ma sorridevano proprio dal cuore, dalla luce che avevano negli occhi si capivano molte cose.
Bisogna giocare, senza sentirsi eterni Peter Pan, ma giocare giocare e giocare. Mi piacciono le scatole proustiane, ma preferisco i cubi colorati che non sono per niente sinonimo di stupidità. Il cubo di Rubik è coloratissimo, ma ha una sola soluzione giusta su milioni. E' pura scienza matematica. Ma è un giocattolo....o almeno lo vendono come tale. E ricorda troppo il nostro mestiere. Una soluzione giusta su milioni. Però lui, il cubo, è colorato tutti i giorni...noi dovremmo produrre giocattoli spaziali....noi dovremmo sorridere quando parliamo di architetture e design. Non farci seri.
Ho imparato anche oggi.

Domenica

Il sole è violento oggi. E' domenica - una delle poche radiose di questa primavera incerta - e fa quasi caldo. Ti alzi con la camicia da notte stropicciata, sei un po' sudata e hai i capelli appiccicati alla fronte. Ma la tua città è splendida oggi. Mestierante o no, lo vedi anche tu.
Esci in terrazza, senza scarpe sul pavimento un po' sporco: ma è riscaldato dal sole e non puoi perderti questa sensazione del calore sotto i piedi nudi, la prima di quest'anno; ti siedi sul muretto col tuo caffè e sorridi involontariamente, come un'ebete, alla Cappella dei Principi, che mai come stamani ti sembra fiorentina, e tua.
Pensi che potresti andare in campagna, che è un giorno adatto per dei bei giri a piedi o in bici, con un gelato che sgocciola, il giornale sottobraccio e la risata matta pronta in gola. Intanto cammini senza fretta e ti specchi nelle vetrine con la coda dell'occhio mentre eserciti di turisti ti scorrono accanto; per una volta, riesci a tollerarli.
Il solito gruppo di vecchietti sotto i portici discute di politica e di calcio, a modo suo, alla buona; li osservi che gesticolano con i loro berretti, le sigarette accese in bocca, una mano in tasca e l'altra a mezz'aria, a disegnare la propria idea.
Di nuovo pensi a quello che questa giornata potrà regalarti.
Di sicuro sai che non sempre è concesso vivere la città come in questo giorno calduccio di primavera, col cuore leggero e le maniche tirate su, senza magniloquenza.
La città di Pratolini, popolare e sanfredianina. E' l'unica Firenze che conta, alla fine, l'unica che si può amare davvero una volta spente le luci.

Lette-ring

Quando ho pensato, insieme ad alcuni colleghi della Scuola di dottorato di Firenze, di aprire un blog legato ai processi di assimilazione delle aree urbane, l'intento sotteso era, ovviamente, quello di offrire una piazza per il dibattito su fatti legati al mondo dell'architettura. Questo strumento, fortemente mediatico, sta vivendo un'esistenza ai margini della progettualità. Nasce da un'energia e si sviluppa per addizioni progressive, come in un arcipelago in cui le isole vengono collegate da mappature costruite sull'esperienza del viaggio. Esperienza tutta in fieri. Mappature approssimative e revisibili di correzioni. Lo osservo per capire che cosa ne posso/voglio fare. E con piacere osservo l'intervento di una voce esterna:Mara Dolce. Non entro nel merito del concorso di Galatina che non conosco e di cui vedo gli esiti attraverso i rendering pubblicati da Luca Barontini membro (ne deduco) del gruppo premiato. Le accuse che la signora muove sono forti e meritevoli di un focus ben più esteso di un semplice "commento". Mi farebbe piacere quindi che questo caso, in verità così usuale nel campo dei concorsi, ci offrisse l'occasione per un confronto. Parlo, nuovamente, da spettatrice ignara ma non ignava. Luca è un membro dei CityTaste e spero vorrà sfruttare l'occasione offertagli per uscire da un semplice livello aneddotico (presentazione di un'esperienza lavorativa) e accettare una discussione efficace.
Da Parigi osserverò, per quanto mi è possibile, e posterò volentieri, ogni replica della signora Dolce.

sabato 19 aprile 2008

LA SCATOLA PROUSTIANA





































Ripensare ad una struttura come il mercato coperto, segno forte nella memoria e nell’architettura di Galatina, vuol dire non poter prescindere, in ambito progettuale, da un’indagine storica, sociale, economica e urbanistica della città.
L’idea che ha guidato l’incipit progettuale è stata quella di mantenere lo spazio pubblico attuale e demandare a spazi di nuova creazione, grazie ad un aumento della superficie utile sui soppalchi, le nuovi funzioni. Il progetto diviene quindi una scatola nella scatola,dove l’involucro di pietra, statico e immutabile diviene un contenitore per l’interno in legno che non lo tocca mai, ma lo invade, lo riempie, rimanendo sempre staccato da questo. Lo spazio centrale è vuoto, libero, ma l’architettura lo contamina continuamente facendo capolino dagli archi che scandiscono lo spazio.
L’indipendenza formale del nuovo intervento rispetto all’antico è lo specchio d’una concezione strutturale ed impiantistica votata alla massima reversibilità e al massimo rispetto per le strutture preesistenti : la scelta di non far mai toccare il vecchio ed il nuovo, di non gravare le strutture esistenti con nuovi carichi e nuove funzioni, la scelta di staccarsi dalle storiche murature, non è dettata semplicemente da ragioni compositive o formali, ma consente di sfruttare l’ampia intercapedine tra il tamponamento ligneo e il perimetro esterno come cavedio impiantistico. Sulla stessa linea di pensiero è la scelta di rialzare il piano terra con una pedana con pavimento ligneo e alla creazione di un solaio superiore predisposto per il passaggio di impianti elettrici e per il cablaggio delle postazioni informatiche. Tale soluzione consente la massima flessibilità dello spazio di lavoro e la possibilità di modificarne la distribuzione nel tempo. Particolare attenzione è stata riservata all’eliminazione delle barriere architettoniche, e a garantire la completa accessibilità di tutti gli ambienti, grazie all’introduzione di rampe per superare il dislivello dalla quota stradale a quella interna, e tra il piano terra e la pedana rialzata. Inoltre l’accesso al piano superiore è garantito dall’inserimento a norma di legge di un ascensore di collegamento tra i due piani. I servizi igienici, che mantengono l’attuale collocazione, verranno adeguati a norma di legge (legge n°13/89).

lunedì 14 aprile 2008

Editoriale

Si chiama (h)ortus, è la rivista on-line di Valle Giulia. I contenuti sono molto lontani da me ma la forma è perfetta. Mi ha dato una botta creativa totale! Voglio un blog così, semplice ed immediato ma molto meno bracciante! Insomma, meno legato alla disciplina, alle discipline nella pluralità dei sensi di questo vocabolo. Disciplina architettonica e disciplina concettuale, di studio. Ora non ho tempo ma stanotte posterò l'idea ultima. O la và...

Morte di un viaggiatore

oggi giornatuccia.
Lo straniero (ma non fa un po' troppo camus?) entra in città inciampa in un cumulo di videocassette di vecchi episodi di colombo e muore.

Con la M maiuscola



Pensavo da dove cominciare la mia favola moscovita e sono inciampata su di un vecchio sito delle mie foto fatte nei pressi del nostro Castello-Cremlino scientifico (anche per la somiglianza delle forme gotiche versione staliniana) ovvero L'Università Statale Lomonosov. Lì ho passato 5 anni della mia vita senza mai godere veramente la vista panoramica sulla città (punto d'incontro obbligatorio per turisti-venditori dei souvenir, orologi e naturalmente matrioski), perchè mi trovavo sempre imprigionata nel labirinto delle aule universitarie. E ora, trovandomi a Bologna in un altro labirinto - quello dei portici infiniti - lancio uno sguardo all'aldilà dei fiumi, frontiere, tempi a questo posto unico, ovvero la mia Mosca con la M maiuscola.
To be continued...

C'mon eileen


su, eileen, io avevo fatto in tempo a leggere prima che tu asportassi... non avere ripensamenti, io ti aspetto con la penna pronta.

Icone russe


Essendo ormai sommersa da valige, articoli e appuntamenti mancati sotto i portici, vi regalo, fresca fresca da Mosca, la donna che porterà un brivido post sovietico al blob. Soprattutto per Eugenia, altro nome russo anche se molto toscano! Eccola, curerà l'etichetta "Icone russe" la nostra Nadioska. Benvenuta!

sabato 12 aprile 2008

Racconto aperto

L'inizio è un tòpos, niente di più niente di meno. Mi perdonerete, ma stamani in nazionale non sono riuscita a fare di meglio (sì, invece di occuparmi degli alberti viaggiavo a cavallo in lande assai desolate). Magari però qualcuno raccoglie e rilancia. Vedi mai.

Ecco che arriva alle porte della città. Gli è apparsa all'improvviso, da lontano, emersa dalla nebbia brumosa dopo lunghi giorni di viaggio. Il sole è pallido, lo si indovina al di là del cielo basso, pesante, e gli occhi stanchi si abituano a fatica a questa luce sterile di ombre.
Chi è quest'uomo, cosa cerca. Forse non cercava questa città, ma comunque vi è giunto. Non sappiamo neanche se deciderà di entrarvi, o di proseguire il suo cammino. E' stanco, questo lo immaginiamo ("dopo lunghi giorni di viaggio") e avrà bisogno di riposare, di cibo. Vorrà scambiare parole con qualcuno, rispondere all'invito suadente di una donna, foss'anche una puttana.
Vogliamo pensare che quest'uomo accetti di passare almeno una notte nella città, che sia curioso di scoprirne i vicoli e le piazze vocianti, di assaporarne gli odori. E' solo da molto tempo, entrerà.

Mentre il suo cavallo prosegue lento il cammino verso le porte mute, la città prima informe, massa scura all'orizzonte, inizia a disvelarsi. Le mura che si stagliano così alte rivelano che è stata un tempo ricca e fiorente. Una città di scambio. Lo è ancora? Il nostro viaggiatore comincia a sentirne i rumori mentre si avvicina? Oppure è stupito e inquieto del silenzio che lo accoglie?

... comunque tranquilli. Tra un po' ritorna il mansueto mestierante. Poche domande, occhio bovino. Rassicurante anzichenò.

venerdì 11 aprile 2008

Il dubbio


Mah. Icché faranno ora.

giovedì 10 aprile 2008

Bentornato


Bentornato signor M. Durata poco la vacanza. Dov'è stato?

mercoledì 9 aprile 2008

Spring in '78

Santa Cristina


La ricerca

Stamani ti sei alzata a fatica, mestierante. Hai guardato il soffitto per mezzora. Una pesantezza infinita. Sei rotolata giù dal letto e sei andata in bagno, allo specchio con gli occhi un po’ pesti di sonno ti sei chiesta più volte se hai fatto un errore.
No. No, non l’hai fatto. Ti sei truccata con cura e lentezza. Ti sei vestita di nero e ti sei messa i tacchi. Non dici una parola? Che ti passa per la testa.
In bicicletta, l’aria della città è frizzante a quest’ora di mattina. E’ una mattina come le altre ed è tutto diverso. In biblioteca, una gazzarra di uccellini distoglie la tua attenzione dal libro che stai sfogliando, svogliata. Guardi fuori e li vedi che bisticciano; dietro di loro, San Miniato è una presenza solida e calma, e pensi che vorresti essere come lei.
Che è successo, mestierante, che ti sei tolta gli occhiali spessi, hai abbandonato gli aeroplanini e ti mostri così, anima nuda? Hai gettato la maschera?
I tuoi lettori (due, in effetti, ma affezionatissimi) ti reclamano, avidi di conoscere i golosi pasticci che ti capitano negli uffici comunali. Ma il personaggio ti è stretto in questi giorni. Non menzionerai nemmeno lontanamente l’architettura, neanche per sfotterla. Sei entrata nella cabina del telefono, ti sei cambiata e ne sei uscita così. Con questi maledetti tacchi che ti fanno ondeggiare un po’ e una matita a fermare i capelli.
Corri a cercare Autodafé, coraggio. Non te la far raccontare più. I tuoi lettori, se vorranno, sapranno aspettare.

ARCHITEKTONIKA - 04 - eUTROPIA




AUTODAFE’ è la città che non esiste, è il padiglione da cercare invano, è l’isola che non c’è, regalo per chi sa guardare oltre per chi sa sognare.
C’è un aUTODAFE’ in ogni Architetto, perché basta guardare dove gli altri non guardano.
Basta essere curiosi ed avere fede per scoprire aUTODAFE’.
Quando le porte si chiudono, quando anche l’ultimo dei visitatori è ormai lontano, lei si manifesta in tutto il suo splendore e si rende accessibile a quei pochi Bimbi Sperduti che hanno ancora una volta trovato il coraggio per cercarla.

ATTO DI FEDE


MAMMA ROMA




-Ma tu perchè fai sta vita? Chi te l'ha fatto fa?
-Ma manco te lo sai?
-Lo sai che la colpa è tua? Si?
-Di quello che uno è, la colpa è solo sua! Ce lo sai, Si?
-Il male che fai te, per colpa tua, è come una STRADA, ci camminano pure l'artri, quelli che un hanno colpa.
-Oh sai perchè sono un FARABBUTTO DISGRAZIATO?
-Perchè la mi Madre era una STROZZINA e 'r mi Padre era un LADRONE.
-Perchè 'r Padre della mi Madre era un BOIA e la Madre della mi Madre era un'ACCATTONA.
-La Madre der mi Padre era na RUFFIANA e 'r Padre der mi Padre era na SPIA.
-TUTTI MORTI DE FAME!
-Certo, se c'avevano i quadrini, erano tutte persone per bene.
-Allora di chi è la colpa?
-Di chi è la responsabilitrà?
-Allora spiegamelo te, perchè io non so nessuno e te sei re de re.

martedì 8 aprile 2008

Autodafè

Marco - disse Kublai Kahn rivolgendosi al suo ospite - raccontami prima di partire della città di Autodafè. Molti dicono che sei il solo in tutta la Cina ad averla veduta.
Mio signore - rispose Marco Polo - è vero che ho visitato Autodafè, ma è altresì vero che nulla posso dirti di quel luogo.
Allora il Gran Kahn si accigliò - molte volte ti ho detto che non credo a ciò che mi dici. Le città di cui parli sono pura invenzione. Perché allora negarmi quest’ultima menzogna? Perché non descrivermi anche quest’ultima città?
Grande Kahn - osservò Marco - il posto di cui parli è inaccessibile alle parole. Nessuna forma vi è contenuta. In nessun tempo.
Allora – rimbrottò l’imperatore – tu come ci sei arrivato? E quanti giorni hai sostato tra le sue mura?
Mura, Kublai Kahn? Rispose il mercante. Chi ti dice che Autodafé sia circondata da mura? Nessun bastione la cinge. Nessun mare la protegge. Nessuna montagna la sovrasta. Nessuna porta la schiude allo sguardo. Autodafé non si scorge in lontananza. Non vi si può giungere in un dato giorno, a una data ora. Se vuoi saperlo, non credo di averla ancora abbandonata.
Allora – rincarò il Gran Kahn incuriosito – se è vero quanto dici, che ancora vivi in essa, sarà certo più facile parlarmene.
Tu, Kahn, che sei un grande condottiero, meglio di altri dovresti sapere che è proprio del luogo in cui vivi che più difficilmente puoi dire. Infatti la sola cosa che potrei raccontarti di Autodafé è che, sinora, non ho potuto lasciarla.
Marco – sogghignò l’Imperatore – confondi le parti pronunciando questo discorso. Sono io, colui che appeso al trono, vive il proprio regno attraverso le parole del viaggiatore. E sei tu, colui che senza dimora, esercita il suo fascino raccontandomi il mondo. Inventando per me il mondo.
Dici il vero – aggiunse Marco – poiché se esisto è solo attraverso le parole che pronuncio in tua presenza. Il mondo lo percorro per poter un giorno venire qui a descriverlo. Eppure grande Kahn, anche io appartengo a una città, anche il mercante di sogni, sogna. E sogna di tornare ad Autodafè.
Dunque Marco, se Autodafé davvero è la tua città, ancor più ti esorto a dirmi di lei. Quale luogo può aver così profondamente ammaliato il grande Marco Polo?
Un giorno – rispose il viaggiatore – senza bisogno che io te la descriva, anche tu vedrai Autodafé. Quando accadrà, o immenso Kahn, non avrai più bisogno dei miei racconti. Non vedrai più paradisi artificiali, inferni di carta e porti senza navi. Quando vedrai Autodafé sarai tu a raggiungermi ed io smetterò di viaggiare.
Detto questo Marco Polo si alzò, fece un grande inchino e, congedatosi dall’Imperatore, partì.
Se le città raccontate fossero reali o meno non ci è dato scoprirlo. Come non sapremo mai se Kublai Kahn credesse o meno ai racconti del suo ospite. Solo sappiamo che il grande condottiero, in piedi sulla soglia della sua immensa terrazza, osservava il cavallo di Marco allontanarsi all’orizzonte. Solo sappiamo che, mentre si allontanava dalla reggia, senza mai girare il capo, Marco Polo salutava Autodafé. La sua città.

A J e G perché ogni principe è prima di tutto un tiranno, ogni santo è stato inquisitore ed ogni nido nasconde una gabbia

IL LABRONICO


lunedì 7 aprile 2008

Mi ritorni in mente...


Special thanks Terme di Riolo

Caro A,


di corsa, perché così mi conosci. Eppure alla rapidità dei movimenti, dei tempi dell'azione, corrisponde, anche, una certa lentezza riflessiva. Uno spazio interiore che mi concedo. Come sai principalmente nei week end. Parbleau! Volevo dire nei fine settimana. Scusa l'anglicismo. Che poi, a dire il vero, quel fine settimana non è altro se non la traduzione letterale di un concetto, nato proprio dalla rivoluzione industriale (tutta inglese), che noi mediterranei abbiamo assorbito. Il week end è un brand profondamente brit! Sì, sono rimasta lì. Alla nostra discussione pasquale. Torino è sempre presente nei miei traumi pre-partenza. Cerco di riabilitarla. Come la nostra povera lingua, no? Così pervasa da quella - dicevi tu - povera per davvero che è l'inglese. E proprio non ci sto. Non credo tu abbia ragione. Io che di parole vivo. Come tanti. Come alcuni gloriosi scrittori che furono eccellenti traduttori. Lo so che tu parlavi di riduzioni, d'impoverimenti di senso. Parlavi e citavi Moretti: "Ma come parla lei? Le parole hanno un senso!". Vero. Vero che ci si riempie la bocca di lay out di plug in di coming soon. Ma non credere, non cadere nel tranello, che questo sia l'inglese. Quella lingua coltissima, fatta di doppi sensi acuti e frasal verb. Non credere che proprio il senso di quella lingua non abbia massivamente influenzato pubblicità e creatività. Visual, copy e co. Se è davvero il nemico elabora una giusta strategia bellica. Magari leggendo Dorothy Parker, che è abbastanza hold fashioned per incontrare i favori di un sabaudo come te. Poi, scusa tanto sudista-nordico, ma se di meticciato si trattasse, che male ci sarebbe?! Dante, mi pare, scrisse anche in volgare...

Bacia Torino per me

E

ARCHITEKTONICA - 03 - eUTROPIA


Costa poco ingombra molto.

Dei mostri di carta, degli origami giganti, (uno per gruppo partecipante) potrebbero ospitare i luoghi di risulta del padiglione.


Con la solita logica del Kit, i vari gruppi potrebbero avere a disposizione dei cartoncioni colariti e un luogo specifico nel quale interagire.


TO SKETCHCRAWL FIRENZE


ARCHITEKTONICA - 02 - eUTROPIA



VINITALY
Italiani popolo d’incontinenti.
Al VINITALY, il luogo più visitato, nemmeno a farlo a posta, era un spazio interstiziale.
Interminabili file di cristiani dalla vescica ricolma di miscuglioni dei più improbabili vini in commercio, si accumulavano nervosamente d’avanti ai cessi pubblici.
Liti, nervosismi e crisi isteriche si accavallavano alle scuse più mirabolanti per ottenere sconti nella pena.
Il cesso dell’handicappato era stivato ed usurpato da manipoli di dissidenti.
Il cesso degli uomini, ormai inagibile, si era reso autogestito e la pisciata non conosceva più limiti nella scelta del sito specifico dell’atto liberatorio.
Il cesso delle donne, ancora composto nella sua estetica, richiedeva un’attesa superiore ai trenta minuti e i fidanzati, che accalcavano l’ingresso nell’attesa delle piscione, ormai avevano stretto amicizie con perfetti sconosciuti.
Questo mi è sembrato decisamente il luogo più fecondo ove indagare la ricerca.
Qui dove la necessità la fa da padrona l’architetto deve fornire una valvola di sfogo, che distragga gli iracondi fruitori.

giovedì 3 aprile 2008

Venezia


Venezia,
Questo è l'immagine che più dentro di me ho di lei.
E' la più profonda. Mi segue ovunque.
In un tratto c'è tutto, la leggerezza dell'unica città che vola, silenzio, l'Oriente, il riflesso, un sopra e un sotto e un sotto e un sopra. Il tutto e niente che Marco Polo raccontava al Kublai.
Il tutto e niente che solo un grande veneziano figlio di maghi e viaggiatore nel fantastico che ci circonda, poteva raccontare in un segno.
Un giramondo veneziano vecchio amico del mio babbo e papa di un marinaio che ha solcato tutti i mari.

Effetto Notte

Pochi la amano davvero. Io ho con lei un rapporto simile a quello che ha il protagonista de L'età della ragione con la sua amante. Un entusiasmo iniziale divenuto consuetudine. Oggi piove sulla città in cui non ci si bagna mai, in cui la finestra prospettica è una curva tagliata per un terzo dalla teoria dei portici. La amo?Amo la stazione, che è uno snodo e mi porta sempre altrove. Amo trovarmi per caso in qualche vecchia osteria la notte. Amo i tortellini in vetrina. Amo il ricordo della cultura che si produceva tra le sue 12 porte. Amo il transetto interrotto di S.Petronio, che non è la cattedrale, che è la chiesa del popolo, incompiuta, per costruire l'università degli eletti. Ma a Bologna ormai ci sono soprattutto parolai e filosofi accattoni. Gente fallita, addormentata dal suo "troppo benessere", scolorita come il rosso che ne fu la bandiera. La odi?Perché odiare Bologna? Odieresti una donna di mezza età che, sì, fu molto bella, ma ora è affaticata e pesante, e usa trucchi da circo per coprire le occhiaie? E usa abiti scollati per nascondere le cicatrici. No, non odiarla, non ne vale la pena. Qui siamo tutti morti. Se proprio devi, prega per noi.

Cara J,

Sophie Calle al Padiglione francese. Entravi e t'accoglieva una stele di Rosetta inchiodata al muro. Inchiodata alle parole. Devo ancora capire se fosse più potente l'immagine di una lettera (e-mail) riprodotta come un poster da autostrada o il contenuto deflagrante di un abbandono reso pubblico. Condiviso. 107 donne, artiste, intellettuali, professioniste (c'era anche la Luciana nazionale) chiamate a interpretare quella lettera d'addio. 107 punti di vista femminili orchestrati da Daniel Buren, commissario in stato di grazia. Vengono ancora a galla, a volte le parole della fine "Prenez soin de vous". Le parole con cui lei, però intitola la sua opera. Un uomo la lascia, con una lettera, dandole del lei, ed esortandola ad aver cura di sé. E lei lo fa, trasforma tutto il dolore e la rabbia in creazione. Costruisce un meccanismo di condivisione e di elaborazione, di sdoppiamento e di alleggerimento. Fa un miracolo: si salva, si cura. Ma occorre una lettera di abbandono, una parola d'addio, un commento. Sceglie un segno e ne fa la lapide funeraria di quella specifica deriva, di quella specifica storia. Non a tutti è data la visibilità di Sophie, ma per tutti c'è l'occasione dell'elaborazione, della trasformazione. Da energia a poesia. Da perdita a progetto. Non è poi così moderno questo concetto. Questo bisogno di materiali urticanti per creare. Il marmo, a mio avviso, non è certo meno ostico. Forse occorre solo un'altra abilità per poter trattare la materia di cui sono fatti i simboli del nostro secolo. Parole nell'etere. Messaggi virtuali. Alterego. Falsificazioni visive. Sii più forte di questa deflagrazione e naviga nell'arcipelago: l'isola che cerchi è probabilmente sulla tua barca.
Le esperienze che abbiamo condiviso sono già un racconto. Scritto a quattro mani.

Tua

E

mercoledì 2 aprile 2008

Santa Maria...

...della Consolazione, che quando arrivo nella città di notte, i mattoni rossi sono stinti dalle luci fioche dei portici.
Santa Maria dei Pellegrini, che la strada per casa è un viaggio fatto a memoria, che non ti perderesti neppure bendato, che non ti perderesti neppure guardando per la prima volta.
Santa Maria del Borgo, che rientrando stanotte la strada era addobbata come una diciottenne alla fiera del paese.
Santa Maria della Redenzione, che l'ascensore è di nuovo rotto, e mi son persa i peccati per le scale, su, fino al quinto piano.
Sono scivolati via leggeri come i drappi sventolanti di viscosa e pizzo. Come i darppi arrampicati tra i palazzi della Ricostruzione. I palazzi della parte nuova, dopo che caddero le bombe.
Santa Maria del Ponte, prega per noi peccatori, accetta le stoffe che sventolano come sottane di puttane la notte. Accetta i palazzotti fatti di sputo e cemento. Accetta che beva l'Albana e ti preghi, quando tira il vento sulla città, di far comparire queste vecchie bandiere sciupate. Di sorprendermi ancora, con un gioco da cartomante, con due veli e una povera lampada.

ARCHITEKTONIKA - 01 - eUTROPIA




EXPO

http://www.milanoexpo-2015.com/pop_video.php?w=640&h=480&v=http://streamer01.itcons.com/expo2015/640.wmv

CAZZO, NON VOGLIO VIVERE FINO A 30 ANNI !!!!!!

Spero di esporre a Milano 2015 in un evento tipo memorial!

ENRICO CASAROSA




Enrico Casarosa è uno dei migliori disegnatori del mondo, disegna tutto quello che vede e vede solo quello che disegna, negli anni novanta si trasferì a Los Angeles diventando in breve tempo uno degli artisti di punta della mitica PIXAR (suo per intenderci è il personaggio del topo Ratatuille dell'omonimo film). Una delle cose per la quale lo apprezzo è che si è inventato un blog con l'obiettivo di coordinare delle maratone di disegno nel mondo, tutti insieme all'ora e al giorno convenuto, ciascuno nella propria città munito di taccuino per schizzare tutto ciò che vede lungo un percorso concordato che poi verrà inserito in un forum del blog per la condivisione e i commenti, stile diario di viaggio ottocentesco per intendersi. Le città che partecipano all'iniziativa sono una cinquantina per ora e spaziano dall'europa all'australia, molti degli schizzi che vengono presentati sono straordinari e raccontano, come una macchina fotografica dell'anima, l'architettura, la natura e la vita.

martedì 1 aprile 2008

IN VINO VERITAS


In occasione delle celebrazioni dei 500 anni della nascita di Palladio il 2 Aprile 2008 ore 18.00 presso - Villa Santa Sofia - Pedemonte di Valpolicella, verrà presentata ufficialmente la Riserva Santa Sofia disegnata dallo Studio eUTROPIA


Il concept prende spunto dalla suggestiva fabbrica di S. Sofia, splendida villa palladiana dalla conformazione ambigua ed affascinante : il disegno originario, dalla genesi modulare e stereometrica, intrecciandosi con molteplici allusioni costruttive, ha creato un’alchimia irripetibile. L’idea di un non-finito, della bellezza che nasce dal mistero dell’incompiutezza, dal rimandare a concetti sfuggenti ed “altri” , rappresenta l’incipit progettuale del nostro lavoro, che risulta pertanto sintesi di inconciliabili opposti. La soluzione di un gesto perentorio che risolve univocamente il progetto grafico, fonde in un continuum assoluto l’etichetta con il suo opposto ; tale gesto che, nella sua perfetta scansione geometrica, vuole alludere all’armoniosa creazione palladiana, risulta improvvisamente tagliato, incompiuto, imperfetto : estremamente affascinante. Tale alchimia è magnificata da una grafica minimale ed evocativa che, da un lato, vuol render omaggio alla classica armonia del disegno palladiano, stilizzato ai suoi caratteri essenziali, mentre dall’altro ne mette in evidenza la parti incompiute, che risultano incavate, negative. Tale espediente aggiunge una nuova dimensione al nostro lavoro, che vuol divenire icona vibrante e suggestiva : un bassorilevo cangiante e sfuggente che invita l’osservatore ad un rapporto spaziale e dinamico con la bottiglia, che ambisce al ruolo di vero e proprio oggetto di design.

Sulla cima dell'Olimpo


Stipendiato come un normale impiegato ha romanticamente riportato in auge la figura dell'artista di corte. Peccato che lui contro la reggia della Quinta Repubblica abbia gettato tuoni e saette, salvo poi divenirne il paggio ufficiale. Anche se il Pritzker Price sta all'architettura come gli Oscar ai buoni film, lui con l'Opéra de Lyon m'ha fatto commuovere. L'utero nero in cui vorrei addormentare le mie paure. Bravò Jean! T'es vraiment un enfoiré!