mercoledì 26 novembre 2008

Il fotografo

[®acconti inediti 2008]

Sono un vedutista. Ho ereditato questa passione da mio nonno paterno che trascorreva le mattinate camminando per le periferie ad osservare i cantieri rumorosi. Spesso andavo con lui. Ero molto piccolo e l'immagine che mi si è fissata nella mente - quella della città intendo - è la finestra prospettica formata da una griglia metallica arrugginita dentro cui si schiude una sintassi di edifici non finiti, in costruzione. Mio nonno era metodico, come tutte le persone anziane, e tornava negli stessi luoghi con cadenza settimanale. Ebbi l'occasione, con lui, di vedere profondi crateri trasformati in compatti palazzi, spianate divenute fabbriche, piloni tramutati in ponti. Quando il cantiere si concludeva, prima delle finiture, prima dell'intonaco e delle scritte al neon, prima dei numeri civici e delle piante sui balconi, sempre un po' prima mio nonno smetteva d'andarci. Quasi come se scaramanticamente volesse soprassedere alla conclusione delle cose, alla fine dei lavori.
Così m'è rimasta questa passione per i limiti urbani, questo taglio impressionista, acquerello e abbozzo narrativo, veloce. Nel mio campo non sarò mai un romanziere né un poeta, perché resto sulla superfice della tela, perché non so approfondire, creare il dettaglio.
Mi apposto ai margini della città, dove il rombo degli aeroplani e i tonfi delle scavatrici formano l'unico paesaggio sonoro possibile. Mi fermo lì, in mezzo al movimento assordante della gente che fa, dei costruttori di mondi. Li osservo per ore, per giorni, li seguo come i falchi a circonferenze sempre più strette e a volte non ne ricavo che pochi scatti. Impressioni.
Questa mancanza è stata, per me, ragione di molte e lunghe sofferenze, vergogna di non saper e non poter fare. Di più. Mi sono sempre considerato incapace di scendere in verticale, incapace di usare i colori a olio che soffocano qualunque via di fuga. Poi questa menomazione è diventata la cifra costitutiva delle mie opere e sulle mie mancanze ho costruito questo mestiere.
L'estrema solitudine delle folle, il disagio e la quiete apparente.

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