La fuga, sosteneva Henri Laborit, può essere l'incipit di una discrepanza necessaria tra l'atteso e l'ignoto, un'avventura che porta a nuove conoscenze insomma. La fuga, sostenevano i pittori rinascimentali, è il punto di estrema tensione nella traiettoria del visibile, come dire il massimo piacere possibile attraverso lo sguardo. La fuga, nell'immaginario collettivo, è un atto di liberazione. Chi fugge, quindi, non è libero, forse anela ad esserlo, più probabilmente confonde una condizione fisica con uno stato di coscienza. Ci sono uomini liberi in un letto d'ospedale, e molti marinai cristallizzati dalla salsedine mentale. Si fugge sempre da qualcosa o verso qualcosa. Sto scappando da casa diceva Giannino Stoppani in arte Gianburrasca. Sto scappando a casa ho sentito spesso pronunciare da grigi signori all'ora del vespro nella stazione centrale, scivolavando affrettati giù da un treno. Mentre percorrevo quel pezzo di strada che sembra tanto più vicina a un frammento felliniano che al mio vivere quotidiano, LuPo mi ha ricordato quella frase che per lungo tempo ho tenuto affissa sulla porta di casa
non saper stare tranquilli in una stanza
Pascal
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