martedì 27 maggio 2008

Ara&Pace II


Per chi volesse seguire il succoso dibattito sul Senso dell'Architettura la prima parte è sul post "Ara&Pace" +commenti. Visto l'interesse suscitato dalle considerazioni fatte aggiungo alcune note su cui spero vorrete intervenire ancora visto che, mi piacerebbe, le cose dette non restassero nel limbo virtuale, ma spero, riuscirò a collettarle in qualche forma pubblicabile (insieme a voi).
Falsificazione. Attualmente il mio vocabolo preferito. Falsificherei i documenti di tutti i cittadini del mondo, falsificherei i sensi unici, falsificherei le date della storia. Ma in realtà tutto questo è già falso.
Convenzione. Presupposto di ogni rapporto sociale. Scelta che permette la comprensione tra parti in gioco. La Storia è una convenzione. I cartelli stradali sono una convenzione. I documenti d'identità sono una convenzione.
Documento. Paradigma necessario all'esistena di un evento. Contratto di credibilità. L'Ara Pacis è un documento che attesta la presenza di un'epoca storica ora conclusa. Come tale rilevante. Per convenzione giudicato esteticamente rilevante. Opera d'arte dell'architettura. Meritevole di essere conservato come testimonianza del bello (inteso come qualità dello spazio nel tempo).
Intervenire su di un documento significa da un lato introdurlo in un sistema di leggibilità, incasellarlo in una tassonomia, quindi farlo divenire convenzionale e utile, mentre dall'altro, per forza vuol dire falsificarlo. Ogni documento è per natura "già passato" quindi rilevante nell'ambito del tempo storico. Ma per essere rilevante deve anche essere interpretato, quindi falsificato. Intervenire sulla città storica non è altro se non questo processo di digestione della storia (quindi, concordo Francesco, necrofagia), perpetua falsificazione.
Il Senso allora, in epoca IperModerna ha, a mio avviso, molto più a che vedere con una giurisprudenza dei modi (o dei media) che non con una analisi sul "vero bello". Il vero, come la storia c'insegna, non esiste. Cerchiamo il Senso!

5 commenti:

  1. completamente liquefatta da una giornata assurda. mangio e spero di avere la testa di risponderti, c'ho in mente un paio di paralleli assolutamente fuori contesto che devo incanalare in un discorso possibilmente logico.
    alla peggio apriranno un altro thread.

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  2. Il problema del senso, del significato dunque. Mi viene da procedere con analogie prese in prestito dalla letteratura, forse a me più congeniali, più immediatamente intuibili.
    L'allegoria; un sacco di libri che abbiamo letto fanno uso dell'allegoria. Il più delle volte si tratta di allegorie 'a chiave', che stabiliscono una relazione binaria precisa e insostituibile tra immagine e significato. In numerosi romanzi storici, così come in film a base storica, si fa uso di questa figura retorica che, in maniera semplice e rettilinea, dà modo di intrecciare corrispondenze tra il passato narrato e il presente da commentare.
    Questo tipo di allegoria, rigida, è destinata a far perdere le tracce di sé, una volta trascorso il presente dello scrivente e annacquate le contingenze storiche. Sarà un'opera troppo legata al proprio tempo, muta per gli altri.
    D'altra parte, 1. non tutte le allegorie storiche, per fortuna, sono 'a chiave' e 2. tutte le opere di narrativa ambientate nel passato sono in un certo senso allegoriche perché è indubbio che parlino del passato con l'occhio del presente. Non solo: le cose narrate, anche se al presente, sono già passate e oggettivate proprio in virtù di quell'essere scritte.
    Per lo più, si tratta di un'accezione di allegoria che Walter Benjamin ben descrive come una serie di rimbalzi imprevedibili tra l'idea del narratore, l'oggetto narrato e il lettore attivo che interpreta e dà significato alla narrazione stessa. Ovviamente non invento nulla: possiamo chiamarla, così come fa Wu Ming 1 (New Italian Epic, lo consiglio), allegoria metastorica, quella di cui fanno uso opere che vengono definite 'classici' e che si rivolgono a un pubblico universale, indipendentemente dal presente in cui sono state scritte. I loro contenuti si rinnovano di volta in volta e assumono significati diversi, metastorici appunto.
    Il punto è: occorrono anni per capire di che pasta sia fatta un'opera.

    Credo che questa pappardella sia applicabile in una certa misura all'architettura. Con tutte le differenze del caso, e a rischio di passare per quella che sono, una cialtrona che butta tutto nel calderone, mescola e ne stiracchia fuori conclusioni confuse. Ma tant'è, il dibattito va aperto in qualche modo...
    Occorrono anni per capire se un'opera sarà un classico o se è destinata a interpretare solo le istanze del momento storico in cui è nata. Alcuni gesti rimangono là dopo pochi anni, svuotati di significato, involucri muti. Altri continuano a significare, ma non sempre nello stesso modo. L'Ara Pacis ORA significa altro rispetto a cento, duecento, cinquecento anni fa; nel passato si cercano risposte diverse a domande diverse. Credo che intervenire sulle testimonianze sia come rinnovarle ogni volta, svegliarle, dialogare con loro. E' difficile stabilire la misura, la grazia, la carezza o lo schiaffo con cui venire a contatto con questi documenti, ma sostengo un'interpretazione propositiva e dinamica della storia. Proprio perché non vada perduta nel nostalgico godimento di un'estetica passatista e capziosamente, ipocritamente sostenitrice di un 'vero' creato ad arte.

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  3. Bene. Mi pare che ci stiamo avvicinando al problema del Senso: l'oggettività. Da tutto quello che abbiamo detto penso di poter dire che emerge un dato inconfutabile. La Storia è un artefatto necessario per comprendere le possibili azioni presenti e, pur essendo creata attraverso interpretazioni continue, quello di cui sentiamo maggiormente il bisogno è la sua presenza. Come dire, il fatto oggettivo che essa esista sempre e per tutti.Vero che stiamo creando dei parametri contenitivi ma ho l'impressione, ad esempio che, mentre il contratto e il documento afferiscono precipuamente al discorso storiografico l'allegoria possa essere ricondotta all'ambito estetico. Sono tutti confini dentro cui dobbiamo cercare di trovare questo benedetto o maledetto Senso dell'Architettura.

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  4. Questa benedetta allegoria è semplicemente il termine attraverso il quale ho scelto di definire l’infinita serie di risposte che il manufatto storico/storicizzato trasmette ad un presente che si fa certe domande. Calzante, a mio avviso, perché tramite un oggetto se ne richiama un altro, un concetto più universale se vuoi.
    Che cosa significano il Teatro di Marcello, Castel del Monte, Piazza San Marco, il centro storico di una qualunque città italiana. Cosa cerchiamo da loro, questa è la domanda che mi pongo. Cosa ci aspettiamo. Identità? Appagamento dei sensi abituati e addomesticati a quel linguaggio? Consolazione. Conferme. Sono d’accordo con te quando dici che la cosa importante è che questi documenti (tali sono anche le architetture) esistano, perché rappresentano la vita dell’uomo, la sua certezza, allo stesso modo (beh non proprio, ma l’analogia passamela…) per cui tendiamo a legarci ai luoghi della nostra infanzia e andare nella casa che era appartenuta ai nonni e dove abbiamo passato le vacanze da piccoli ci fa venire il tuffo al cuore… :-) E in più questi manufatti testimoniano quello che quest’uomo (Uomo?) ha saputo fare, la sua intelligenza. Quindi è un godimento intellettuale quello percepito dai sensi.
    E’ un desiderio profondo di identità culturale, credo. Che è difficile trovare nel presente, per il semplice motivo che il presente muta in continuazione. Manca, direi, l'idea di essere 'parte di' questa storia; manca il dialogo alla pari, sembra sempre di doversi confrontare con qualcosa di aprioristicamente migliore. Una sudditanza psicologica dura a morire.

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  5. è anche che c'è una specie di memoria storica collettiva, che il più delle volte fa capo a un immaginario di percezioni-intuizioni condivise dalla maggioranza di appartenenti a un gruppo, un Paese, che si identifica più o meno volontariamente con determinate espressioni storiche e culturali.

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