giovedì 3 aprile 2008

Cara J,

Sophie Calle al Padiglione francese. Entravi e t'accoglieva una stele di Rosetta inchiodata al muro. Inchiodata alle parole. Devo ancora capire se fosse più potente l'immagine di una lettera (e-mail) riprodotta come un poster da autostrada o il contenuto deflagrante di un abbandono reso pubblico. Condiviso. 107 donne, artiste, intellettuali, professioniste (c'era anche la Luciana nazionale) chiamate a interpretare quella lettera d'addio. 107 punti di vista femminili orchestrati da Daniel Buren, commissario in stato di grazia. Vengono ancora a galla, a volte le parole della fine "Prenez soin de vous". Le parole con cui lei, però intitola la sua opera. Un uomo la lascia, con una lettera, dandole del lei, ed esortandola ad aver cura di sé. E lei lo fa, trasforma tutto il dolore e la rabbia in creazione. Costruisce un meccanismo di condivisione e di elaborazione, di sdoppiamento e di alleggerimento. Fa un miracolo: si salva, si cura. Ma occorre una lettera di abbandono, una parola d'addio, un commento. Sceglie un segno e ne fa la lapide funeraria di quella specifica deriva, di quella specifica storia. Non a tutti è data la visibilità di Sophie, ma per tutti c'è l'occasione dell'elaborazione, della trasformazione. Da energia a poesia. Da perdita a progetto. Non è poi così moderno questo concetto. Questo bisogno di materiali urticanti per creare. Il marmo, a mio avviso, non è certo meno ostico. Forse occorre solo un'altra abilità per poter trattare la materia di cui sono fatti i simboli del nostro secolo. Parole nell'etere. Messaggi virtuali. Alterego. Falsificazioni visive. Sii più forte di questa deflagrazione e naviga nell'arcipelago: l'isola che cerchi è probabilmente sulla tua barca.
Le esperienze che abbiamo condiviso sono già un racconto. Scritto a quattro mani.

Tua

E

Nessun commento:

Posta un commento